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Un “progetto” non difeso: Giulini, il Cagliari e pochi mesi di presidenza tra dubbi e mosse poco azzeccate

La fine del “progetto tecnico” con Zeman, uno scarso coraggio e una lunga strada da percorrere per la salvezza

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Campagna abbonamenti con il suo volto. Sui pullman, nei giornali, sul web. Nel capoluogo sardo cominciò ad echeggiare il nome di Zdenek Zeman, che varcò i confini regionali e risuonò con una portata che non si vedeva dai tempi di Trapattoni. Il “maestro” era tornato, pronto per insegnare calcio ad una squadra e una società rivoluzionate e vogliose di regalare gioie ai tifosi. Tommaso Giulini, neo presidente rossoblù, sponsorizzava il “progetto tecnico”, cercando di promuovere e vendere un buon prodotto ai tifosi, che all’Arena Sant’Elia, nonostante una campagna acquisti fino a quel momento non eccezionale, urlavano il nome di Zeman.
Il boemo, sì, proprio lui, era l’uomo giusto per giustificare le evidenti mancanze tecniche nell’organico della compagine sarda. La società ne era sicura. E sarebbe stato colui che, alla fine, avrebbe pagato per tutti.

Una preparazione faticosa, fatta di ripetute e gradoni. Ma Giulini, forte anche di uno stadio, il Sant’Elia, pronto per l’apertura a 16.000 e per divenire un fortino inespugnabile, era sempre più convinto che quella fosse la scelta migliore. A Milano, dopo il poker rifilato all’Inter, tutti, stampa e tifosi del calcio, parlavano del “ritorno di Zemanlandia”. Ancor più in seguito allo 0-4 con il quale il Cagliari, al Castellani, liquidò l’Empoli. I rossoblù giocavano un buon calcio, che però spesso e volentieri non si traduceva nel tanto agognato bottino pieno e nella vittoria casalinga. Un blackout inspiegabile, dopo l’infortunio di Sau e il roboante 3-3 di Napoli, poi, conduceva all’ultima gara del 2014, quando nella terza sconfitta di fila, per 1-3, contro la Juventus, Zeman schierava 6 difensori nel 4-4-2 che sfiduciava il suo intoccabile 4-3-3. Qualcosa si era rotto, e i sorrisi finti degli addetti ai lavori lo davano a vedere.

Il castello era divenuto sempre più fragile, aveva delle fondamenta poco stabili, e in una notte di dicembre, fatta di riflessioni interminabili, sarebbe stato spazzato via, come se un’onda del Poetto fosse sopraggiunta improvvisamente. Zemanlandia, tra lo stupore generale (o forse no), era finita. Non si aveva avuto il coraggio di attendere. Ed ecco che, dopo il rifiuto di Zenga a sedersi sulla panchina rossoblù, il modo migliore per placare le ire dei tifosi, che chiedevano a gran voce il ritorno del boemo ed erano pronti ad “assediare” Viale La Playa, si chiamava Gianfranco Zola, era un amatissimo sardo proveniente dall’Inghilterra e aveva condotto, dieci anni prima e in modo trionfale, il Cagliari in Serie A.

La storia si chiude negli ultimi giorni del 2014 ma è pronta per ricominciare, con un nuovo capitolo, agli inizi del nuovo anno. Il giovane e ancora inesperto Tommaso Giulini è chiamato a lavorare alacremente per porre rimedio a tutte le mosse poco azzeccate dei primi sei mesi (o poco più) di presidenza. Prima di tutto deve giustificare la fine del “progetto”, da lui tanto sponsorizzato, e che alla prima difficoltà non ha avuto il coraggio di difendere, come un vero leader dovrebbe fare. Che Zola e Casiraghi possano assisterlo in questa impresa? I dubbi sono leciti. Il calciomercato, poi, dovrà essere una prerogativa: al Cagliari occorrono quantomeno un portiere di esperienza e una punta capace di garantire un adeguato numero di gol. Giulini, si spera, si faccia affiancare da persone di sicuro affidamento, specie un uomo-mercato (Branca?) capace di evitare figuracce come quella estiva con Astori o quella antecedente all’esonero di Zeman, una vera comica. Sarà inoltre necessario far partire giocatori totalmente inadeguati per la massima serie, e presentati in estate come autentiche rivelazioni, affinché venga fornito al nuovo tecnico un organico competitivo, cosa che al boemo non è stata concessa.

Ma soprattutto è bene che l’imprenditore milanese comprenda che per stare a lungo nel mondo del calcio occorra interpretarlo con adeguata lucidità: eviti perciò di emulare la precedente gestione diventando un nuovo “mangia-allenatori”, ma voglia ricalcare ad esempio l’abilità celliniana di concludere ogni stagione col bilancio in verde. Non voglia essere una critica, bensì una semplice provocazione per cercare di migliorare, al fine di supportare Gianfranco Zola con una solidità societaria da ritrovare prima possibile.

L’obiettivo è allontanarsi presto dal terzultimo posto e rimanere in Serie A: il paracadute economico, in caso di retrocessione, potrebbe non essere sufficiente per una pronta risalita. Coraggio, dunque, Giulini, e ancora più coraggio Zola, l’uomo della provvidenza, almeno si spera.

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